30 marzo 1997. Vi sono titoli neutri e altri no, contrassegni partecipi e perfino risentiti delle forme che la musica via via assume nelle diverse composizioni. Si tratta stavolta di un ossimoro quasi insostenibile: Muro d'orizzonte, ovvero l'ostacolo di una parete assoggettato al massimo spalancarsi possibile, sin dove giunga l'occhio.
Tuttavia, se ben decifrata, questa opposizione si rivela apparente. L'impedimento della vista offre infatti alla nostra mente spazio d'illusione e illusione di spazio, ciò per cui si proiettano le immagini dell'immaginare.
L'orizzonte d'altra parte, pur posando abitualmente in luogo d'infinito, ne rappresenta l'intrinseco limite, perché linea di separazione tra cielo e terra, visibile e invisibile.
Allora, cosa vorrà significare una contraddizione che non contraddice, ma da sola si apre? È la domanda che i suoni muovono qui all'ascoltatore.
Anche i testi di parole che spargo intorno allo splendido isolamento delle mie opere, potremmo propriamente chiamare "carte da suono"?
5 aprile 1997. Ritrovo, in mezzo ad appunti d'ogni sorta, alcune frasi di Michel Serres, trascritte su un quaderno del 1993. Una frase mi attira, con mia sottolineatura: «Senz'altra protezione che il cielo senz'altro muro che l'orizzonte». Più sopra, a matita blu, leggo la contrazione finale: «Muro d'orizzonte».
Strana sensazione aver faticato oggi a costruire un titolo che era già pronto quattro anni prima. Un titolo trovato due volte ha più valore, penso. Non dovremmo temere l'oblio, quella parte dove la memoria tutto conserva.
(1997)