Questo titolo racconta già la storia della composizione, il cui nucleo risale a un'epoca che sta per tramontare. Da pagine ingiallite i segni pro-clamano l'estraneità dei miei stessi giorni. Anche gli occhi sono cambiati. Altri occhi, altri pensieri.
Nel 1967 il mio stile cominciava a mettersi a fuoco, forse non tutti sareb¬bero in grado di riconoscerlo. Inutile pure per me tentare di riconoscermi dopo tanti anni. Cosa dunque ho voluto fare di questo frammento? Inseguire quelle idee che mantengano un potenziale di azzardo e interrogativo.
Proprio alla luce delle attuali aperture, alcune caratteristiche del vecchio pezzo prendono rilievo: solo cosi è stato possibile un recupero delle parti scritte e una ulteriore definizione del progetto generale. Può oggi sorprendere l'uso dei suoni ecologici (rami di pino verdi, foglie secche, acqua) mescolati a strumenti musicali ortodossi, raggruppati però secondo la materia costitutiva (legni, pelli, vetri, metalli). Gli strumenti vengono soprattutto strisciati, non percossi. Poi compaiono quelle inesauribili fonti di vibrazione corporea che sono le grancasse. Il loro suono mette in allarme perché senza nome, come lo spazio. La tendenza estrema all'impercettibile è contraddetta e bilanciata da elementi violenti, quali: oggetti da rompere, tubi metallici, pistole.
L'attitudine alla meditazione per mezzo del suono mi è stata sempre congeniale. Immaginate di sedervi sulle rive di un fiume. Non un fiume reale, ma il fiume della musica. Immaginate di sedervi alla ribalta di un concerto. Non un concerto reale, ma di acqua e vento. Vi sono suoni in' cui ci si immerge con diletto. Ma v'è una cosa senza la quale nessun diletto di suono ha senso, ed è l'intensità del silenzio.
La tensione è il pensiero di chi ascolta reso percepibile da chi suona.
(1999)