Domenico Scarlatti, un linguaggio a parte, stravagante e personale.
La scrittura quartettistica, un versante centrale della tradizione, quello dei classici viennesi.
Condurre qualsiasi musica antica dentro al moderno, vuol dire mettere in gioco una terza area di pensiero.
Scarlatti, il classicismo, il mondo attuale: tre componenti in apparente discordanza vengono qui a combinarsi. Del resto siamo nell'epoca delle comunicazioni tra varie lontananze. Il concetto di esercizio implica la ricerca del miglioramento; ma Esercizi era pure il nomignolo sotto cui Domenico raccoglieva le sue Sonate per clavicembalo. Perché Scarlatti, oggi? Farò una considerazione generale.
Vi sono artisti che infrangono decisamente il linguaggio del loro tempo, rischiando più degli altri. Quale la posta? Se stessi. Essi spiccano dal fondo della storia e formano una sorta di famiglia atipica, affiorano tra loro relazioni e affinità veramente sorprendenti, malgrado i secoli che a volte li separano.
Nel novero metteremo appunto Domenico Scarlatti, un compositore che all'ascolto intelligente offre una messe di anticipazioni strane e non subito inquadrabili.
Dopo aver compiuto i primi adattamenti, mi trovai sorpreso di fronte a curiosi oggetti sonori, quasi una musica popolare del futuro, non tanto rispetto all'epoca dell'autore, quanto alla nostra.
La scelta dei pezzi anzitutto. Non dipende esclusivamente dalla dimestichezza col repertorio in questione (che pure non mi manca) piuttosto è mossa dall'invenzione.
Spesso mi attraggono i pezzi più sconosciuti. Afferro alcune potenzialità intrinseche e cerco di dar loro corpo; bisogna intuire cosa questi brani possono diventare e non ciò che sono già. Senza vie di mezzo, o si fa centro o no.
Infinite invece le gradazioni del trascrivere. Può trattarsi di un'operazione meccanica e priva di luce, oppure un divertimento disimpegnato. Ma ciò che è gustoso per sé non è detto procuri gusto agli altri, e di fatto quello dell'arrangiatore ritengo sia un lavoro non da tutti. Personalmente uso il termine "elaborazioni" per significare sia che la creatività non è affatto assente, sia le necessità di far rivivere ciò che non ha più voce. Si tratta ogni volta di viaggi di scoperta. Una inconsueta lettura può trasfigurare opere stranote, ovvero mettere a fuoco l'indistinto, come nel caso di lavori usciti di scena. Vestirli a nuovo sarebbe solo macabro, mentre io voglio arricchire la musica di senso (cioè rendere problematica la sua fisionomia). Quali frutti produrrebbe la coscienza musicologica se innestata sul coraggio nell'immaginare? Spero di non dover chiedere scusa a nessuno per i cortocircuiti. Sono un eretico, si sa.
(2000)